Con il Festival di Sanremo, volenti o nolenti, bisogna fare i conti. C’è chi lo adora incondizionatamente, chi lo ripudia, considerandolo il simbolo di un’Italia vecchia e poco propensa a evolversi, chi lo guarda semplicemente per abitudine, con l’aria sollevata di chi ha bisogno di riferimenti certi in un mondo denso di cambiamenti veloci. Chi ne esalta la natura nazionalpopolare, quella capacità innata di unire un Paese nella visione degli abiti da gala e della scenografia, nei commenti sulle gaffe dei conduttori e degli ospiti, nell’ascolto delle canzoni. Perché è vero che al centro c’è e ci dovrebbe essere la musica, ma spesso c’è la voglia di scandagliarne ogni aspetto, superficiale e non, con l’obiettivo di adoperarlo come polaroid per un’istantanea d’Italia.
Oggi, il sito del Corriere della Sera ha lanciato un’idea brillante, scoprire quale fosse il nostro primo ricordo di Sanremo. Inserendo semplicemente la data di nascita. Perché ognuno, anche nel momento in cui ha deciso che non lo avrebbe mai più (ri)visto, si è imbattuto nel Festival almeno una volta. Partecipando, ho notato come il sistema abbia sbagliato di poco. Quasi tutte le canzoni nominate, dal 2003 in poi, le ricordavo più o meno precisamente. Eppure la mia memoria è stata in grado di spingersi oltre. Sforzandomi, mi sono reso conto che la mia prima consapevole edizione di Sanremo è stata quella del 2002, a 9 anni ancora da compiere. Una settimana di vecchi santoni, meteore, ospiti di successo, conterranee vincitrici e, perché no, anche dei primi sogni erotici.
Il presentatore: Pippo Baudo

Sarò sincero, Pippo Baudo non mi ha mai ispirato particolare simpatia. Dopotutto, a 8 anni, non sarebbe stato complesso provarne solo un po’? Figura già vecchiotta, un po’ altezzosa, senza la vena ironica di un Paolo Bonolis. Eppure, a distanza di anni, riconosco come il suo primato di conduzioni del Festival sia quanto di più meritato. Distinto, sobrio, rassicurante, la figura ideale per un pubblico che, dopotutto, guarda Sanremo nella quasi certezza di non trovarsi spiazzata. A meno che non vinca qualcuno che canti con un gorilla che balla al suo fianco. Mia nonna ancora si lamenta sconvolta.
I vincitori: Matia Bazar

Allora, io non ricordo assolutamente una nota o una parola di “Messaggio d’amore”, la canzone con la quale i Matia Bazar si aggiudicarono quell’edizione di Sanremo. Ricordo solo il mio stupore nel momento in cui mi accorsi che Matia non era il nome proprio di un cantante maschio. In effetti il cognome mi pareva strano.
Anzi, ricordo che fui anche molto deluso dall’esito della gara, penalizzante e beffardo per l’unica canzone che mi aveva del tutto estasiato.
La meteora: Alexia
“Dimmi come posso fare per salvare il mio cuore, tu non sai cos’è il rispetto se non senti il dolore”. Uno dei primissimi ritornelli ad aver accompagnato la mia infanzia. Dovrei ora guardare con imbarazzo a questa cosa? Probabilmente, ma posso tranquillamente usare la mia tenera età come scusante. Sarà stato quel ritmo elettrizzante da disco music, così nuovo a suo tempo nell’atmosfera della città dei fiori, ma posso affermare con certezza che quella fu la prima canzone per cui tifai a Sanremo. La delusione per il secondo posto non fu lenita dalla sua vittoria l’anno dopo, anche perché io, nel 2003, impazzivo per i 7000 caffè di Alex Britti.
Ovviamente ora non ho la più pallida idea di che fine abbia fatto Alexia. Wikipedia me la indica sposata felicemente con un tizio imparentato con Giorgio Armani e la famiglia Agnelli (beh, vorrei vedere), nonché cugina di Alberto Aquilani. Nel 2018 ha vinto il premio Lunezia.
La conterranea di successo: Anna Tatangelo
Ciociaria alla ribalta. La provincia frusinate non è solita vestire abiti da primadonna. Se però una figlia della terra delle ciocie si impone a Sanremo, tutto può cambiare. L’eco non può non arrivare, sebbene Sora non sia così vicina alla mia Alatri e il campanilismo imponga anche una certa rivalità tra la parte tendente all’Abruzzo con quella più vicina a Roma. Non fa niente. Il trionfo di una sedicenne Anna Tatangelo a Sanremo fa passare tutto in secondo piano. Anna quest’anno si ripresenta, 17 anni dopo, ancora ai blocchi di partenza per sognare quella doppietta Sanremo giovani-Sanremo big mai riuscita. La Ciociaria sogna ancora di salire sul carro della vincitrice.
Le vallette e non: Manuela Arcuri e Luisa Corna
Per un bambino appassionato di sport nei primi anni Duemila, la visione di Controcampo ha rappresentato un’oasi felice. La conduzione impeccabile di Sandro Piccinini, le pagelle di Paolo Ziliani, la moviola di Matteo Dotto, la verve provocatrice di Giampiero Mughini e Diego Abatantuono. E poi lei, Luisa Corna, madrina incontrastata prima di cedere il timone a una degnissima Elisabetta Canalis. Immaginate la sorpresa di vederla cantare a Sanremo, in compagnia di Fausto Leali. Una coppia in grado di portare a casa un dignitosissimo quarto piazzamento, che però non ha lanciato la carriera della showgirl. Le voci, da lei smentite, sul fatto che si trovasse nel letto di Umberto Bossi quando il Senatur fu colto da un ictus nel marzo del 2004, non hanno contribuito a farla decollare.
E comunque, in quell’anno, le belle presenze non mancavano di certo. Quella vecchia volpe di Pippo Baudo si affiancò come valletta niente meno che Manuela Arcuri, lanciata da un calendario Max presente in tutti i barbieri d’Italia. Un bel modo per avvicinare giovani leve alla visione della kermesse canora.
Gli highlander: chi c’era e chi c’è ancora
Assieme alla Tatangelo, ci sono altri baluardi che hanno attraversato la germinazione di nuove mode e generi per ripresentarsi sul palco dell’Ariston, nell’anno domini 2019, desiderosi di testimoniare ancora la loro esistenza, sia reale che artistica. Nino D’Angelo, Patty Pravo, Loredana Bertè, monumenti che non si lasciano consumare dal tempo inesorabile ma, accompagnati da qualche nuova leva che li renda non così distanti dalle nuove generazioni, urlano che loro ci sono, ancora. Francesco Renga, un giovane più che promettente all’epoca, che non resiste mai alla tentazione di tornare dove si è diventati grandi, forse nell’illusione di una nuova incoronazione. Daniele Silvestri, uno che forse non ha mai covato ambizioni di vittoria, ma che ha sempre saputo regalare qualche perla che ancora si canta con piacere e con orecchio rilassato.
Lo showman: Roberto Benigni
Abbiamo rivangato il 2002 come l’anno di Luisa Corna, Manuela Arcuri, Alexia, Anna Tatangelo. Ma, con il dovuto rispetto per tutte loro, la fama di Roberto Benigni era tutt’altra cosa. Un orgoglio italiano che aveva insegnato quanto la vita fosse bella, uomo di spettacolo in grado di suscitare risate, creare audience, sorprendere nonostante si fosse sempre pronti ad aspettarsi qualsiasi cosa da lui. Satira politica, prese in giro, declamazioni, strizzate di palle a Pippo Baudo. Quel 9 marzo 2002, data “tardina” per i soliti standard di febbraio, Benigni spaziò da un ambito all’altro, scheggia impazzita senza mai dare l’idea di essere fuori controllo, protagonista di un copione che solo lui era in grado di seguire, forse di costruirlo all’istante. Per anni è stato un jolly sensazionale, per Sanremo e per ogni show del sabato sera della Rai. Prima di un’eclisse che sta diventando piuttosto lunga. I primi film scadenti, qualche presa di posizione politica che non ha convinto molti, una vena forse inaridita? Non lo sappiamo. L’unica certezza è che nessuno sembra in grado di durare più a lungo di Sanremo, neanche quelli che hanno contribuito a renderlo lo spettacolo più caro agli italiani.