3 anni fa: la scomparsa senza colpevoli di Giulio Regeni in Egitto

Ci sono storie che, semplicemente, lasciano più rabbia. Per l’impossibilità di venirne a capo. Per un profondo senso di ingiustizia che avvilisce. Perché consideriamo inaccettabile che si perda la vita inseguendo un sogno, vivendo una passione, portando avanti un progetto. Perché, allontanandosene, nonostante gli sforzi e i desideri, la rassegnazione e l’impotenza prevalgono.

Il delitto – Sono passati tre anni dalla scomparsa di Giulio Regeni a Il Cairo, nella fermata metropolitana di Al Buhuth, quartiere periferico di Dokki. Risiedeva lì il ragazzo nato nel 1988 a Fiumicello, paesino in provincia di Udine, ma arrivato nella capitale egiziana attraverso Cambridge. Era nella città inglese che Giulio portava avanti un dottorato di ricerca, nell’ambito del quale la sua tutor, Haha Abdelrahman, lo aveva spedito nello Stato nordafricano per un lavoro sui sindacati indipendenti dei mercanti ambulanti. Per cattive conoscenze, la sua opera da studente venne fraintesa. Scambiato per una spia, un potenziale fastidio per il regime dittatoriale di Al Sisi, venne rapito il 25 gennaio del 2016, ucciso e poi ritrovato solo il 3 febbraio sul ciglio di un tratto autostradale che collega Il Cairo ad Alessandria.

La giustizia – Ciò che è successo nel mentre resta avvolto nel mistero. Quello che era avvenuto prima sta continuando a emergere pian piano per il lavoro delle indagini italiane. Le vicende accadute dopo ci hanno raccontato di un Egitto per nulla collaborativo, che ha provato più volte a sviare le indagini, sin dal ritrovamento del cadavere. Ci testimoniano un desiderio di giustizia di tanti italiani, supportato dal giallo e dal nero, i colori degli striscioni, delle stampe che continuano a imperversare. Verità per Giulio Regeni, la scritta issata su facciate e balconi, la campagna di Amnesty International Italia, un proposito condotto ancora oggi nelle tante manifestazioni in giro per la penisola (e non solo).

I depistaggi – L’Egitto non ha mai collaborato fattivamente nella ricerca della verità. Quando il cadavere venne scoperto, le autorità locali si affrettarono a parlare di incidente stradale. Ipotesi subito rimossa quando la salma arrivò in Italia, dove l’autopsia evidenziò denti spezzati, fratture sparse, ecchimosi diffuse. Era stato torturato e poi abbandonato. Quando gli investigatori italiani si recarono in Egitto, non poterono interrogare testimoni se non in compagnia di colleghi del luogo. Non riuscirono nemmeno a visionare le immagini registrate da una telecamera della fermata della metro dove è stato dimostrato che Giulio arrivò. Il suo ultimo movimento accertato. Non erano state richieste tempestivamente ed erano state dichiarate buttate. Ma l’episodio eclatante risale al 24 marzo dello stesso anno, quando i documenti della vittima furono ritrovati nell’appartamento di uno di quattro componenti di una banda criminale uccisa lo stesso giorno. Ci volle poco a dimostrare che, in realtà, furono messi lì in un secondo momento da un poliziotto della National Security egiziana. Prove evidenti della necessità di oscurare la verità.

Il personaggio chiave – In questo caos, la figura centrale, quasi la causa scatenante della tragedia, è stata una persona che doveva invece rivelarsi fondamentale per gli studi di Regeni. Mohamed Abdallah, uno dei leader dei sindacati degli ambulanti, segnalato a Regeni da una professoressa del luogo. Nel tempo libero, svolgeva anche la mansione di informatore dei servizi segreti egiziani. Decise subito di segnalare ad alcuni suoi superiori la misteriosa presenza di questo ragazzo italiano, proveniente dall’Inghilterra e in grado di parlare perfettamente l’arabo. Un dubbio ingiustificato, dal momento che il comportamento di Giulio è sempre stato limpido e non ha mai lasciato motivi di fraintendimento. Anche quando lo stesso Abdallah ha provato a trarlo in inganno, prospettandogli la possibilità di attività contro il governo e di sfruttamento, per il loro tornaconto personale, di un eventuale premio di 10mila sterline messo a disposizione da una fondazione britannica per progetti di sviluppo e ricerca. Conversazioni registrate in segreto, inviate a militari della polizia che, in un primo momento, sembravano essersi convinti della bontà del ragazzo.

Gli indagati – Invece, complici le vacanze di Natale in cui Regeni era tornato a casa, la National Security proseguì le sue indagini, convincendo addirittura il coinquilino di Giulio a perquisire i suoi ambienti e finendo per macchiarsi di un reato vergognoso. Dopo tre anni, la Procura di Roma è riuscita almeno a iscrivere cinque persone nel registro degli indagati, ma non può procedere contro di loro perché l’Egitto nega ogni disponibilità:

  • Colonnello Mohamed Ibrahim Kamel Athar, all’epoca dei fatti Capo delle Investigazioni Giudiziarie del Cairo. 
  • Generale Sabir Tariq (o Tareq), generale della Polizia presso il Dipartimento di Sicurezza Nazionale.
  • Uhsam Helmi, all’epoca dei fatti in forza presso la Direzione di Sicurezza Nazionale (ovvero la National Security).
  • Maggiore Madgi Ibrahim Abdelal Sharif, agente della Sicurezza Nazionale.
  • Agente Mahmoud Najem, assistente di Sharif presso la Direzione di Sicurezza Nazionale di Giza.

La ricostruzione dei loro capi d’accusa potete trovarla qui.

La posizione dello Stato italiano – Data l’impossibilità di una proficua collaborazione, l’Italia provò ad alzare la voce richiamando l’ambasciatore da Il Cairo nell’estate del 2016. I rapporti sono però tornati pian piano distesi. Il governo Gentiloni riallacciò i contatti mandando un nuovo ambasciatore nell’agosto del 2017, con la benedizione del ministro degli Esteri Angelino Alfano, che definì l’Egitto un “partner ineludibile”. Con il nuovo governo Conte le cose non sono cambiate. Salvini anche ha speso subito nei confronti dell’Egitto parole simili a quelle del suo pre-predecessore, mentre Al Sisi ha avuto un ruolo rilevante nella Conferenza di Palermo sulla Libia, tenutasi a novembre, per la sua vicinanza al leader della Cirenaica libica Haftar.

Equilibri delicati che restano. Giulio Regeni invece non c’è più da tre anni. Con la sensazione che la verità sia a un passo dalle dita e che il quadro sia sempre più delineato; eppure, senza che qualcuno sia stato ancora assicurato alla giustizia.

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