7 anni fa: il naufragio della Costa Concordia

Titanic italiano. Quel titolo flash del TG5 Mattina non poteva non catturare l’attenzione. Anche degli sguardi assonnati di studenti svegliatisi presto, o che forse non si erano mai addormentati, in attesa del lungo viaggio di ritorno dalla settimana bianca scolastica. Un corridoio denso di ragazzi e valigie girò automaticamente gli occhi verso i quattro televisori presenti, che erano stati sempre un elemento di sottofondo, mai degni di più di qualche occhiata distratta, nel viavai incessante dei giorni precedenti.

Quell’accostamento automatico era la soluzione più immediata per rendere l’idea della tragedia avvenuta poche ore prima, la sera del 13 gennaio 2012, al largo delle coste dell’Isola del Giglio. Se noi eravamo reduci da una settimana di montagna, assecondando la stagione, qualcuno aveva optato per una soluzione che rendesse l’inverno un pensiero ancora lontano. La crociera “Profumo d’Agrumi”, abbandonata da poco la tappa di Civitavecchia, era diretta al porto di Savona, dove la nave Costa Concordia, appartenente alla compagnia Costa Crociere, si sarebbe fermata dopo aver toccato anche gli attracchi di Marsiglia, Barcellona, Palma di Maiorca, Palermo e Cagliari. Quell’ultimo tratto di mare risulto però fatale: a 96 km dalla costa della Toscana meridionale, il capitano Francesco Schettino si avvicinò troppo al gruppo di scogli Le Scole dell’Isola del Giglio. L’intento era quello di effettuare una manovra abituale per un’imbarcazione, l'”inchino”, una sorta di saluto agli abitanti dell’isola.

A sette anni di distanza, sono quegli abitanti a portare i loro inchini alla memoria delle 32 vittime che, quella sera, pagarono la superficialità, la negligenza e la codardia umane. Nel porto dell’isola fu subito costruita una lapide a memoria di quanto accaduto. Ogni 13 gennaio, su quella lapide arrivano in processione con le loro candele i cittadini e le autorità di un’isola che venne sconvolta nella sua quotidianità, che ricorda il trambusto degli elicotteri d’emergenza inviati dalla Capitaneria di porto di Livorno in piena notte per salvare i superstiti gettatisi in mare per la disperazione. Una piccola comunità che ha dovuto fare i conti con il rischio tangibile di un disastro ambientale, che per oltre un paio di anni ha avuto come panorama un relitto appoggiato alla roccia di Punta Gabbianara.

La lapide sull’Isola del giglio in memoria delle vittime del naufragio

La roccia dove si adagiò la Costa Concordia dopo che, nel suo inchino, incontrò uno scoglio a otto metri di profondità. Uno squarcio di 72 metri nello scafo, una quantità immane di acqua imbarcata che provocò l’immediato spegnimento dei motori e un blackout generale. Quest’ultimo fu l’unico effetto immediatamente percepibile dai 3216 passeggeri a bordo e dalla gran parte dei 1013 membri dell’equipaggio. Chi si accorse del danno non volle subito lanciare l’allarme o mettere al corrente del rischio imminente. Il consiglio di indossare i giubbotti di salvataggio come semplice precauzione, mentre l’acqua che continuava ad occupare spazi e l’oscillazione mutante della nave diventavano segnali inequivocabili di pericolo in atto.

A seguito dell’impatto delle 21:45, soltanto alle 22:25 le autorità navali avvisarono la Capitaneria di Livorno della falla e dell’allagamento causante il blackout, evidenziato nelle prime conversazioni come il reale problema e non come conseguenza di un danno ancora maggiore. Alle 22:33, a quasi un’ora dall’incidente, avvennero i canonici sette fischi di sirena significanti emergenza generale. 13 minuti prima era stato consigliato ai passeggeri di ritirarsi nelle cabine, perché il blackout sarebbe stato risolto a breve. Alle 22:36 dovevano invece ritrovarsi tutti nei punti di riunione per seguire le istruzioni dell’equipaggio. Sempre dopo aver mantenuto la calma.

Ma la calma, così come la fiducia, erano sentimenti impossibili da recuperare mentre la Costa Concordia aveva smesso di procedere in avanti, limitandosi a ondeggiare da sinistra a destra, appesantita dall’acqua che prendeva possesso di ogni scompartimento.

Se già la sequela di errori, che aveva messo a repentaglio la vita di cittadini di 60 nazionalità diverse, sarebbe bastata a sollevare dubbi sulla professionalità del comandante della nave, nelle ore successive emerse l’aspetto più sconfortante. La nota non determinante, ma la più dolente in un concerto di sbagli e (sotto)valutazioni errate. Nelle conversazioni telefoniche registrate dalla Capitaneria di Livorno, il comandante di quest’ultima, Gregorio De Falco, intimava a Francesco Schettino di portare il suo aiuto alle persone che, impossibilitate a raggiungere le scialuppe di salvataggio per l’inclinazione della nave, stavano provando a salvarsi a nuoto verso la riva del Giglio. I ripetuti “cazzo, torni a bordo” di De Falco vennero ignorati dal comandante della nave, che con il suo personale si era già preoccupato di mettersi in salvo tramite un’imbarcazione d’emergenza.

Il rifiuto del proprio ruolo di responsabilità, la sua noncuranza verso ogni forma di onore e dignità personale hanno portato Schettino a diventare sinonimo di viltà, il protagonista di una vicenda nefasta che, nella più comune evoluzione di un dramma Made in Italy, equivale a star, personaggio da salotto alla ricerca di riflettori e telecamere a cui offrire una versione dei fatti differente. O forse un segno di umanità. Un bisogno di notorietà indecente, indifferente alla propria origine, che portò addirittura Schettino a essere l’ospite di una lezione di un master della Sapienza di Roma sul controllo del panico. In qualità di esperto. Un imbarazzo tale da portare il rettore a inviare mail di scuse, chiarimenti e dissociazione a ogni singolo iscritto dell’ateneo.

Oggi, 13 gennaio 2019, passati 7 anni, tutti i tasselli sembrano aver trovato finalmente il giusto posto. Con uno straordinario lavoro, la Costa Concordia nel 2014 è stata interamente rimossa dagli scogli dell’isola, scongiurando il timore di una perdita di oli combustibili in mare. Trasportata al Porto di Genova, è stata lì demolita nel 2015 e in larga parte riciclata. Circa 85 milioni di euro sono stati devoluti ai superstiti e ai familiari delle vittime come risarcimento dalla Costa Crociere. Schettino è stato condannato in primo grado alla reclusione di 16 anni nel febbraio 2015. Pena che sta scontando nel carcere romano di Rebibbia, dopo che la sentenza è stata confermata sia dalla Corte d’Appello che dalla Cassazione l’anno successivo.

Il panorama per gli abitanti del Giglio è tornato gradevole: la roccia di Punta Gabbianara è di nuovo sgombra. Staserà riceverà addosso soltanto una corona di alloro, lanciata per commemorare quanti hanno perso la vita in quel tratto di mare. Un timido tentativo di riscatto umano: lo sforzo della memoria che prova a cancellare l’onta di gesta vigliacche.



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