Michael Schumacher era salito tante volte sugli sci. Un’altra delle sue passioni fuori dal sedile dell’auto. Lo avevamo visto sfrecciare tante volte sulla neve, così come sull’asfalto. L'(ex) appuntamento annuale di Madonna di Campiglio per il Wrooom, il meeting dei motori sugli sci, lo aveva visto spesso protagonista, sfrecciante con la sua tuta rosso Ferrari sulle piste innevate, quasi come in un giro secco per la pole position, specialità della casa. Schumi amava cavarsela anche con il pallone tra i piedi. Sul campo, dove la velocità non è qualità essenziale, se l’è sempre cavata alla grande. Nelle partite benefiche della nazionale piloti lo ricordiamo spesso a segno. Il goal come la bandiera a scacchi. Un obiettivo al quale Schumacher mirava con la testa di chi era abituato a primeggiare. Al di là del fatto se si trattasse di campionato del mondo o di beneficenza.

Il 29 dicembre di 5 anni fa però, a Meribel, località sciistica delle Alpi francesi, la competizione non c’entrava nulla. Il tedesco era in compagnia del figlio Mick e di alcuni amici mentre decideva di percorrere un breve tratto di pista non battuta per passare da un percorso più impegnativo a un altro più leggero. Nessuna bravata, come si era sussurrato nelle ore successive a quel maledetto incidente che gli ha cambiato radicalmente la vita. Una roccia nascosta su cui impattò uno sci e un’altra contro cui si schiantò la sua testa, munita di casco. Nessuna protezione fu sufficiente a ripararlo da quell’impatto. Una dinamica ricostruita dagli inquirenti grazie a una GoPro presente sul casco di Schumacher che, si sostiene, possa aver compromesso la tenuta dello stesso.
Grenoble, Losanna e Gland. Queste sono state le uniche tre tappe della sua vita successiva. Nell’ospedale della città francese venne trasportato immediatamente e sottoposto a due operazioni per ridurre il trauma cranico e tamponare l’emorragia cerebrale in atto. Fu indotto in coma farmacologico, finendo in uno stato vegetativo dal quale nessuno crede possa mai veramente riprendersi. In Francia si inseguirono false voci su una sua possibile morte e, quando venne trasferito in una struttura ospedaliera di Losanna per l’inizio della riabilitazione, qualcuno si impossessò della sua cartella clinica per venderla a 50000 euro. Venne denunciato, scovato e arrestato, finendo col suicidarsi in cella la prima notte di carcere.

Storie di contorno paradossali, che fanno da corollario a una strenua lotta di sopravvivenza, non documentata e offerta in pasto ai media, ma difesa con estremo riserbo. La moglie Corinna, i figli Mick e Gina Marie, la procuratrice Sabine Kehm e tutti coloro che si occupano della salute di Schumacher, o ai quali è concessa una visita, coprono con silenzio e rare parole di circostanza la sua permanenza nella residenza di famiglia nella svizzera Gland, adibita a clinica personale dal 2014, anno in cui l’ex pilota ha fatto ritorno a casa. Da quel giorno, c’è un rincorrersi di voci sul suo stato di salute, su eventuali miglioramenti o peggioramenti. Ipotesi diverse, che non trovano riscontro in nessuna affermazione o verità ufficiale, ma che ogni tanto sbucano dal nulla senza realmente aggiungere qualcosa di nuovo. Come se non accettassero che, oggi, qualcuno sia in grado di sfuggire alle inevitabili conseguenze di una realtà iper-mediale.
Così, a Gland, Schumacher continua la sua lotta per riappropriarsi di una parvenza di vita che valga la pena essere vissuta. Attorniato da persone che si occupano di lui, ma soprattutto da quelle che lo amano e che hanno legato a lui la loro carriera, la loro vita. Lontano da questo stretto cerchio di conoscenze, ci sono i tifosi che non ne dimenticano le imprese, ma ne omaggiano la memoria con il ricordo sempre vivo. Dei suoi record, dei suoi mondiali, di una Ferrari riportata sulla vetta del mondo dopo decenni di insuccessi, della sua glacialità che lo ha reso il pilota di Formula 1 più vittorioso della storia. Ma anche della sua giovanile incostanza e dei colpi di testa che potevano quasi minare la nascita della storia d’amore con la rossa di Maranello.
Schumacher ha vissuto così tante vite che, il 3 gennaio, quando compirà 50 anni, sarà strano festeggiarlo. Perché da 5 anni non si sa se riconosca il volto e la voce di chi gli sta a fianco, non si capisce se rammenti di essere stato il Michael Schumacher che tutti conoscono. Perché, anche per l’assenza di recenti testimonianze, qualcuno fatica a immaginarselo diversamente da come lo ha conosciuto: sorriso enorme, saltino sul gradino più alto del podio durante gli inni nazionali e un italiano meno che basilare nonostante gli anni trascorsi nel nostro Paese.
Eppure, bisogna prendere atto che, in una vita spesso vissuta sui 300 km orari, si possa inciampare a una velocità molto minore su due piccoli assi di titanio e fibra di vetro. E resettarsi. Iniziare un nuovo percorso che renda superficiale tutto quello che c’è stato prima. Una nuova lunga corsa, condotta con la stessa convinzione di sempre, ma più lentamente, perché questa volta il traguardo deve essere allontanato quanto più possibile.
In bocca al lupo Schumi!