Andrea Pirlo, Esteban Cambiasso, Paul Pogba, Dani Alves, Cafu, Miroslav Klose. Cos’hanno in comune questi calciatori, oltre al merito di aver segnato la recente storia calcistica con le proprie carriere? Tutti quanti, almeno una volta, sono stati protagonisti di un trasferimento a parametro zero. Senza la necessità, da parte delle loro nuove squadre d’approdo, di sborsare un solo euro per avere la proprietà dei rispettivi cartellini. Un fatto strano, se si pensa al valore di questi giocatori nell’arco della loro attività. Eppure, miopie dirigenziali, grandi intuizioni e testardaggine dei diretti interessati hanno creato queste opportunità. La bravura dei direttori sportivi e la volontà dei calciatori sarebbe però stata vana se, il 15 dicembre del 1995, la Corte di giustizia dell’Unione Europea a Lussemburgo non avesse dato ragione a Jean-Marc Bosman. Chi?
Calciatore modesto, nel 1990, a 26 anni, militava nel Football Club Liegi, squadra del massimo campionato belga. A fine anno, a contratto scaduto, avrebbe voluto trasferirsi in Francia, al Dunkerque. I suoi desideri vennero però stroncati dalla richiesta di cessione troppo alta del suo club di appartenenza, che poteva chiedere un compenso, anche a contratto ultimato, secondo la prassi dell’epoca. Bosman si ribellò e iniziò una battaglia personale, facendo causa alla sua squadra, alla federazione calcistica belga e all’Uefa, l’organo di governo del calcio europeo. Si appellò all’articolo 39 del Trattato di Roma del 1960, fondante la Comunità Economica Europea, che liberalizzava la circolazione dei lavoratori all’interno degli Stati membri.

La sentenza Bosman, come venne subito definita dai media, fu emanata 5 anni dopo e scaturì degli effetti dirompenti nel mondo del calcio. Terminato un contratto, ogni giocatore avrebbe potuto scegliere in totale libertà con chi firmare il prossimo, stringendo eventuali nuovi legami già nei sei mesi conclusivi del precedente accordo.
Si equiparava la condizione dei giocatori a quella di normali lavoratori. Una presa di posizione legittima, che permise loro di diventare proprietari di sé stessi e, di conseguenza, di esercitare un maggior potere contrattuale. Una dinamica evidente ancora oggi, quando notiamo calciatori battere cassa molto spesso verso le loro società per sostanziosi rinnovi di contratto. Dal dicembre di 23 anni fa, le squadre hanno dovuto fare i conti con il rischio concreto di perdere, gratuitamente, un capitale, una fonte di ricchezza. Come ogni altro lavoratore, il calciatore può far valere il suo sacrosanto diritto di aspirare alla migliore condizione sportivo-economica possibile. Un concetto spesso incrinato nell’opinione pubblica, tacciato superficialmente di scarsa eticità per le enormi cifre circolanti nel calcio, a livello sia di contratti che di compravendita.

Di certo, esiste anche un altro lato della medaglia di questa sentenza. Innanzitutto, a un’autonomia maggiore per i calciatori corrisponde un aumento di difficoltà per le società meno ricche nel mantenere elevato il proprio livello di competitività. Spesso, risulta difficile mantenere i propri giocatori migliori a lungo, allettati dalle proposte faraoniche di club più ricchi e famosi. Il rischio di perderli gratis, per la loro volontà di non rinnovare il contratto, porta i club a cessioni numerose e frettolose, soprattutto se non si è in grado di offrire adeguamenti salariali consoni al loro valore di mercato. La frattura tra campionati più ricchi e campionati più poveri si è allargata molto in ambito europeo, anche perché la sentenza Bosman specificò che le ristrettezze sull’acquisto di extracomunitari non avrebbero dovuto più riguardare i calciatori di federazioni appartenenti all’Unione Europea. Il mercato divenne così molto più ampio, iniziando ad alimentare le discussioni sugli eccessivi stranieri nei campionati nazionali, una polemica spesso stantia, che mai ha trovato una soluzione attuabile.
Questo cambiamento ha inoltre consentito a una nuova figura del panorama calcistico mondiale di assumere sempre più importanza, il procuratore. Da semplice intermediario a figura chiave nei trasferimenti, anche oltre il dovuto. Emerge spesso che i celebrati acquisti a parametro zero nascondano un nuovo prezzo, quello delle commissioni pagati agli entourage che assistono i calciatori nelle loro scelte extra campo. Costi inseriti regolarmente a bilancio dalle squadre (vedasi i recenti casi Emre Can e De Vrij), ma che suscitano interrogativi sul valore attuale dell’espressione “parametro zero”.

Privati che perseguono la strada della propria ricchezza, ringraziando anche Bosman. Paladino di una conquista generale, ma che a lui non portò grandi benefici. Se la sua caparbietà lo ha reso giuridicamente indimenticabile, la sua carriera e la sua vita successiva lo sono state meno. Ha gironzolato un po’ il mondo giocando ancora a calcio a bassi livelli, addirittura in Madagascar, prima di affrontare un percorso successivo molto complesso, fatto di dipendenza dall’alcool, reati di violenza e povertà.