“No no, non ce la faccio ad andare dopo quella volta”.
Sabato sera la Nazionale tornerà sul luogo del delitto. Stadio Giuseppe Meazza di Milano, Italia-Portogallo. Poco più di un anno dalla maledetta sfida contro la Svezia del 13 novembre 2017, che sancì il più grande fallimento della storia del calcio italiano: l’esclusione dai Mondiali russi del 2018. E chi era presente quella sera, e ricorda la profonda delusione scaturita al fischio finale dell’arbitro Mateu Lahoz, è ancora troppo scottato per tornare a tifare azzurro, almeno dal vivo e nello stesso impianto.
Preferibile guardare la partita dal divano di casa, oppure in un locale con gli amici. Quei divani e quei locali rimasti più sgombri tra giugno e luglio, un’eresia negli anni pari italiani. Certo, la cavalcata della Croazia è stata appassionante, i pub inglesi sparsi nelle nostre città sono stati più festosi e autoctoni del solito, ma è mancata quella felice ansia condivisa, spezzata dalla decisione di quale casa assaltare, di quante birre portare e quali pizze ordinare. Siamo stati privati di un momento aggregativo che abbiamo sempre considerato come ovvio nella sua puntualità. Di un evento in grado di scandire il percorso delle nostre vite, in cui l’Italia ci ha fatto compagnia mentre preparavamo la maturità, le sessioni d’esame universitarie e nelle prime estati in cui ancora eravamo convinti di poter diventare dei calciatori famosi allenandoci col Super Santos.
Un anno dopo è cambiato tutto e non è cambiato nulla. Di quella squadra non c’è più l’allenatore, che ha avuto il tempo di sporcare ulteriormente la propria immagine. Non c’è più il capitano, che ha salutato ingloriosamente in un mare di lacrime. Non c’è più il presidente federale, sconfessato e costretto ad abbandonare il timone in un misto di rabbia impotente e francese sgangherato. In compenso, ci siamo finalmente resi conto che l’Italia era davvero diventata una squadra non all’altezza della sua storia e del suo blasone. Nonostante un tecnico nuovo e un ciclo di calciatori più giovane, ci sono voluti 11 mesi per vincere di nuovo una sfida ufficiale. Abbiamo parlato di vivai che non producono più talenti, di club che non valorizzano i loro giovani, abbiamo assistito a campionati bloccati da regolamenti cambiati in corsa e infiniti ricorsi alla giustizia sportiva. Abbiamo così razionalizzato la nostra meritata assenza dai Mondiali.
Eppure sabato, 62mila persone si recheranno a vedere la partita in quel fatidico stadio, quasi un anno esatto dopo. Forse quelle frasi sentite in giro sono solo scaramanzia. L’Italia resta sempre l’Italia e noi italiani non saremmo tali se non stessimo già pensando ai prossimi Mondiali, seppur invernali. Quest’anno è passato in fretta, speriamo arrivino presto anche i prossimi tre.